lunedì 3 marzo 2014

The Grand Budapest Hotel (Wes Anderson, 2014)

Dio o chi per lui sta cercando di dividerci di farci del male di farci annegare, perché in questo preciso istante dovrei essere al cinema a vedere Lettre d'une inconnue di Max Ophuls. Di avviso contrario, una pattuglia di controllori dai denti a sciabola ha pensato bene di incrociare il mio tragitto all'uscita dalla metro. Inspiegabilmente, la tattica denominata "L'abbonamento ce l'ho ma l'ho lasciato a casa" ha sortito l'unico effetto di ritardarmi quel tanto da farmi mancare la proiezione.
Tanto meglio per Voi, devoti amici, che avrete dunque in esclusiva la possibilità di sorbire voluttuosamente la recensione dell'ultima opera del regista più hipster del momento, qualsiasi cosa questo aggettivo voglia dire(credo c'entri con dei baffi a manubrio e delle giacche di tweed).
Ammetto che raramente aspetto con impazienza l'opera di qualche regista; Wes Anderson da qualche anno è un'eccezione, quindi ieri sera con alcuni amici ho approfittato della porta sul retro di un importante cinema parigino per vedere l'ultimo lavoro del suddetto.
Brevemente, si tratta della storia di Zero, giovane facchino del Grand Budapest Hotel, situato in una non bene precisata località montana dell'est europeo nei primi decenni del secolo scorso. Il giovane, un mingherlino di probabili origini indiane, apprende i rudimenti del mestiere sotto l'ala protettiva di Gustave H (un grande Ralph Fiennes), concierge di mezza età, istituzione dell'Hotel, uno che del suo mestiere ha fatto una vera e propria arte. Una vegliarda fedelissima ospite dell'albergo (una irriconoscibile Tilda Swinton) lascia in eredità un dipinto di valore inestimabile all'azzimato impiegato. Il figlio di lei (un machiavellico Adrien Brody) e il suo scagnozzo (un cattivo, crudele, ringhiante, stupendo Willem Dafoe) accusano Gustave H dell'omicidio della vecchia, lo mandano in galera e fanno di tutto per recuperare il quadro.
Il cast è di proporzioni faraoniche; cito a caso, ma non troppo:
-Harvey Keitel, non lo vedevo da anni. Qui ha il ruolo del vecchio galeotto ricoperto di tatuaggi. Un solo fotogramma di quest'uomo vale il biglietto, se lo pagate;
-Mathieu Amalric è simpatico, un francese che gioca con lo stereotipo del francese;
-Bill Murray è Bill Murray ed è un dovere morale amarlo. Io lo faccio dai tempi dei GhostBusters, ma Egli con gli anni migliora. Egli sta ed è sempre stato a Wes Anderson come Keith Richards sta agli Stones, per dire.
Altri attori di grido, tra cui ovviamente tutti gli habitués del cinema di Anderson sono disseminati all'interno del racconto.
Un sovraffollamento che diventa inconveniente, creando una certa complessità a livello di trama: a costo di dare un ruolo a tutti, si creano personaggi inutili, come quello di Lea Seydoux, che tra l'altro è in evidente imbarazzo nei panni di una cameriera imbranata con dei capelli di colore normale.
Per il resto niente da dire, fa piacere constatare che Wes Anderson è ancora nel pieno possesso delle sue facoltà registiche; è uno dei pochi che il loro stile lo mantengono saldamente e lo hanno imposto senza compromessi ai colossi della produzione (che sentitamente ringraziano, suppongo).
I carrelli interminabili mossi su traiettorie rigidamente geometriche ma imprevedibili, i dialoghi rapidi e stringati, le scenografie fintamente bidimensionali, le situazioni ai limiti dell'assurdo: gli elementi tipici ci sono tutti e sono esaltati alle loro massime potenzialità. Ancora una volta, tema cardine è quello della famiglia; anzi, più propriamente quello del rapporto padre - figlio, che in questo caso si declina nel rapporto Gustave-Zero.
Insomma, se un regista continua a ripetersi e, ciò nonostante, riesce a essere innovativo, significa che è un vero autore.
Uno dei migliori Anderson di sempre, soprattutto in recupero dopo Moonrise Kingdom, che non mi aveva convinto pienamente.

P.S. Il tono di questo post è volutamente altisonante nel vano tentativo di disturbare le tonitruanti grida di giubilo provenienti dal sito Repubblica.it e relative al film La grande Bellezza.