mercoledì 29 giugno 2016

Con Air (Simon West, 1997)

Avete presente le pigre sere d'estate in cui il caldo soffocante vi toglie la voglia di qualsiasi film non abbia al suo interno delle esplosioni e un Nicholas Cage con espressione inebetita? Ebbene, a me capitano spesso e Con Air è un capolavoro anni Novanta che da troppo tempo ho perso di vista.
Rapido giro di messaggi e alle 21 spaccate sono sul divano di Luca per scroccare proiettore e acqua-e-menta.
Nick Cage si gode un bellissimo disco dei Nickelback
Nicholas Cage veste la canotta e i capelli del cantante dei Nickelback (gruppo il cui ricordo vorrei espiantare dalle mie sinapsi) e intepreta Cameron Poe, valoroso ranger dell'esercito americano finito in gattabuia per una rissa finita male. Scontata la pena - ingiusta ma sopportata con dignità e parecchia palestra - il nostro imperturbabile protagonista viene imbarcato sull'aereo che lo riporterà dalla moglie e dalla compianta figliola. A perturbare il clima da gita di classe si mette Cyrus the Virus, interessante vilain senza scrupoli, freddo e calcolatore, interpretato da un ottimo John Malcovich. Il cattivone di turno è affiancato da una ridda di boy scout in libera uscita, tra cui spicca il tenerone pluri-stupratore incarnato dal leggendario Danny Trejo. Manco il tempo di decollare, i bontemponi prendono il possesso del velivolo, suscitando l'ovvia perplessità di Cameron Poe. Di fronte al rischio di essersi sorbito 8 anni di sole a strisce per l'anima del cazzo, il soldato in incognito farà di tutto per tarpare le ali della libertà al gruppo di ammutinati.
L'espressività di Nick Cage
A terra, John Cusack è Vince Larkin, sbirro timido e democratico che deve opporsi all'impulsività da cow-boy di un collega desideroso di abbattere l'aereo senza tante menate.
Tutti gli elementi che fanno il successo di un action movie sono mescolati in maniera esagerata ironica : i tempi d'oro del genere sono ormai finiti e il genere si ritrova a prendere in giro se stesso.
A livello di spazi, l'idea dell'ambiente carcerale combinata a quella dell'aeroplano conferisce al film la giusta patina claustrofobica. I personaggi disegnati dagli sceneggiatori incarnano ideali contrapposti e estremizzati, ma senza mai giungere all'assoluto, come dimostrato dal personaggio di Steve Buscemi, pluri-assassino alla Hannibal Lecter che finisce a giocare con le bambole come un innocuo bambino troppo cresciuto.
Ai tempi della fine del film d'azione classico (Bruce Willis in Die Hard, per intenderci), verso la nuove frontiere della fantascienza e della paura post 11 settembre, Con Air gioca al rialzo anche con gli aspetti catastrofico-spettacolari, giungendo alla folle, tamarrissima, geniale idea di far atterrare l'aereo in una strada del centro di Las Vegas.
Jackpot.

venerdì 24 giugno 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot (Gabriele Mainetti, 2015)

Approfitto di una pausa estiva a Vicenza per vedere (fuori tempo massimo) il Jeeg robot di Mainetti.
Va detto, mi avvicino alla materia da profano: la mia conoscenza del mondo supereroico si limita ai Superman con Christopher Reeve e qualche Batman, quelli di Burton e quelli più recenti di Nolan.
Tra i mille interrogativi ne spicca uno: come avrà fatto Mainetti ad adattare al mercato italiano uno schema geneticamente hollywoodiano? e, soprattutto, senza risultati patetici tipo Rambo Turco?
Un Claudio Santamaria nel corpo di Gérard Depardieu interpreta Enzo Ceccotti, disperato della periferia romana che vive di espedienti e si nutre di soli budini. Il malcapitato, in fuga dalle guardie, cade nel Tevere impiastricciandosi di una sostanza tossica che gli dona forze sovrumane. Al che, il nostro fa quel che farebbe qualsiasi persona sana di mente: arricchirsi oltremodo illecitamente.
I budini aumentano vertiginosamente nel frigo di Ceccotti, ma il nostro eroe dovrà fare i conti con il criminale coatto androgino detto Lo Zingaro (un Luca Marinelli allucinato, violentissimo e sopra le righe). A completare lo schema la timida storia d'amore con Alessia, vicina di casa "matta scocciata" e invasata di anime, che vede in Ceccotti il super eroe della sua saga preferita.
Le menate sui grandi poteri e le grandi responsabilità vanno a farsi fottere nel personaggio crudo e brutalmente realista di Santamaria, il cui unico scopo sembra essere quello di aprire i bancomat come scatolette di tonno per incrementare le sue scorte di latticini e DVD porno. Un eroe che non può non ricordare i personaggi di Eastwood per Leone, che proprio (guarda caso!) sulla scia dei film di samurai giapponesi sostituì all'idea di cowboy "eroe senza macchia" quella del pistolero individualista e venale. Un supereroe post-moderno quello di Mainetti, che nonostante la sua notevole forza non vola, non spara fiamme o raggi laser. Al contrario, accanto alla imperfezione morale, è proprio sull'elemento corporale e sulla sua vulnerabilità che regista e sceneggiattori han voluto insistere. L'eroe di Mainetti è tra i meno super che si siano mai visti; egli suda, sanguina, si ferisce, dissemina pezzi di corpo, e per certi versi pià che quel fighetto dell'Uomo Ragno ricorda l'Arnold Schwarznegger di Predator, che prende una fracca di botte ma gira e rigira vince lui.
Numerosi i riferimenti, che spesso sfiorano la citazione al cinema americano di genere, dagli esempi più alti, come il Joker di Jack Nicholson, ad altri buoni per masturbare i cinefili, come quello esplicito a The Toxic Avenger e in generale a tutto l'immaginario della Troma Film. E poi l'ammiccamento a Pasolini (che pare che se giri un film a Tor Bella Monaca devi metterlo per contratto) in una delle battute finali del film : "I supereroi son come i poeti, ne nasce uno ogni cent'anni". Ok, bello, però basta.
Insomma, diciamolo, passo decisivo nel cinema di menare.