venerdì 24 giugno 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot (Gabriele Mainetti, 2015)

Approfitto di una pausa estiva a Vicenza per vedere (fuori tempo massimo) il Jeeg robot di Mainetti.
Va detto, mi avvicino alla materia da profano: la mia conoscenza del mondo supereroico si limita ai Superman con Christopher Reeve e qualche Batman, quelli di Burton e quelli più recenti di Nolan.
Tra i mille interrogativi ne spicca uno: come avrà fatto Mainetti ad adattare al mercato italiano uno schema geneticamente hollywoodiano? e, soprattutto, senza risultati patetici tipo Rambo Turco?
Un Claudio Santamaria nel corpo di Gérard Depardieu interpreta Enzo Ceccotti, disperato della periferia romana che vive di espedienti e si nutre di soli budini. Il malcapitato, in fuga dalle guardie, cade nel Tevere impiastricciandosi di una sostanza tossica che gli dona forze sovrumane. Al che, il nostro fa quel che farebbe qualsiasi persona sana di mente: arricchirsi oltremodo illecitamente.
I budini aumentano vertiginosamente nel frigo di Ceccotti, ma il nostro eroe dovrà fare i conti con il criminale coatto androgino detto Lo Zingaro (un Luca Marinelli allucinato, violentissimo e sopra le righe). A completare lo schema la timida storia d'amore con Alessia, vicina di casa "matta scocciata" e invasata di anime, che vede in Ceccotti il super eroe della sua saga preferita.
Le menate sui grandi poteri e le grandi responsabilità vanno a farsi fottere nel personaggio crudo e brutalmente realista di Santamaria, il cui unico scopo sembra essere quello di aprire i bancomat come scatolette di tonno per incrementare le sue scorte di latticini e DVD porno. Un eroe che non può non ricordare i personaggi di Eastwood per Leone, che proprio (guarda caso!) sulla scia dei film di samurai giapponesi sostituì all'idea di cowboy "eroe senza macchia" quella del pistolero individualista e venale. Un supereroe post-moderno quello di Mainetti, che nonostante la sua notevole forza non vola, non spara fiamme o raggi laser. Al contrario, accanto alla imperfezione morale, è proprio sull'elemento corporale e sulla sua vulnerabilità che regista e sceneggiattori han voluto insistere. L'eroe di Mainetti è tra i meno super che si siano mai visti; egli suda, sanguina, si ferisce, dissemina pezzi di corpo, e per certi versi pià che quel fighetto dell'Uomo Ragno ricorda l'Arnold Schwarznegger di Predator, che prende una fracca di botte ma gira e rigira vince lui.
Numerosi i riferimenti, che spesso sfiorano la citazione al cinema americano di genere, dagli esempi più alti, come il Joker di Jack Nicholson, ad altri buoni per masturbare i cinefili, come quello esplicito a The Toxic Avenger e in generale a tutto l'immaginario della Troma Film. E poi l'ammiccamento a Pasolini (che pare che se giri un film a Tor Bella Monaca devi metterlo per contratto) in una delle battute finali del film : "I supereroi son come i poeti, ne nasce uno ogni cent'anni". Ok, bello, però basta.
Insomma, diciamolo, passo decisivo nel cinema di menare.

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