giovedì 22 maggio 2014

Deux jours, une nuit (Jean-Pierre e Luc Dardenne, 2014)

A Parigi iniziano a uscire i film di Cannes e il giorno prima della partenza per l'Italia faccio in tempo a vedere il film dei Dardenne, tra i papabili vincitori della Palma d'oro. Al ballottaggio con la Julianne Moore esaurita di Gus Van Sant preferisco il realismo sobrio dei fratelli belgi.
Sandra (una smunta Marion Cotillard) è appena uscita da una profonda depressione e rischia il posto di lavoro nella piccola fabbrica in cui lavora. Ai suoi colleghi la direzione ha imposto un crudele referendum: un premio di mille euro se votano per il suo licenziamento, niente premio e tutto come prima se votano perchè la ragazza resti. Lei vive in una casetta middleclass in una cittadina belga col marito (un bravo Fabrizio Rongione) e i due bambini. La malcapitata avrà un weekend (i due giorni del titolo) per convincere i propri colleghi ad avere pietà di lei.
La tematica socio-personale è da sempre presente nell''opera dei Dardenne; l'attenzione verso le situazioni estreme ed emarginate, vedi Rosetta e L'Enfant, ritorna con costanza lungo il filo del loro discorso, ponendoli tra gli autori più coerenti del panorama europeo.
La semplicità e la linearità delle loro sceneggiature è sconvolgente, e la loro regia d'altronde gode delle medesime caratteristiche, eppure i dardenne ti tengono incollato allo schermo. Come faranno?
Semplicemente, la loro camera si attacca al personaggio e lo ama come sono il suo occhio sa fare; a quel punto per lo spettatore è semplice: egli si trova a vivere la vicenda del personaggio quasi in prima persona, ne sente e ne condivide le gioie (poche ) e le sofferenze (estreme).
Nel caso di questo film poi, la vicinanza al personaggio di Sandra è di una intimità commovente.
Interessantissimo, poi, il lavoro sull'attrice. La Cotillard è la prima stella del cinema francese, acclamata in Europa e a Hollywood, modella principale delle principali case di moda transalpine: ebbene i Dardenne la prendono di peso, le levano brutalmente il trucco e i vestiti di marca, e la sbattono nella parte di una semi-proletaria imbottita di Xanax. Una operazione che potrebbe ricordare quella che Rossellini mise in atto con la Bergman in Viaggio in Italia (1954). All'epoca il Maestro accolse la attrice proveniente da Hollywood per assegnarle la parte di una nobile decaduta in preda a una crisi personale e matrimoniale, la imbruttì volutamente e la inserì in un racconto sfilacciato. Qui i Dardenne tengono salde le redini della trama, ma in compenso forzano oltre ogni limite il percorso agli Inferi della protagonista, che supera la prova dimostrando di essere una interprete eccezionale.
Tifiamo Palma d'oro, in attesa di vedere il cane di Godard.

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