domenica 10 novembre 2013

Il viale della speranza (Dino Risi, 1953)

Domenica pomeriggio tra l'uggioso e il variabile, decido dunque di affrontare questa pellicola del giovane Risi. Scovata su torrent, è l'ultimo fim di cui avrei voglia, ma vista la situazione meglio affrontarla, visto che potrà tornarmi utile in vista del progetto di ricerca in Francia, di cui parlerò un'altra volta.
Diciamo subito che Risi è agli inizi, di vede e si sente; toccherà le sue punte un decennio più tardi. Ad ogni modo la sostanza c'è.
Il viale del titolo (il riferimento poco nascosto è a Sunset Boulevard di Wilder) è la via Tuscolana, che passa davanti a Cinecittà e accompagna le speranze di folle di aspiranti attori nell'Italia dei primi anni '50.
Tra questa folla di disperati tre emancipate ragazze aspirano a diventare le nuove dive del cinema italiano: Giuditta, piuttosto scarsetta ragazza di provincia, insegue con entusiasmo ma scarsi risultati il suo sogno e deciderà di rientrare nella sua Sassuolo; Franca sceglie, anche lei senza successo, la strada più rapida del flirt col produttore trombone, mentre Luisa (per la quale è evidente la predilezione del nostro Risi e dei suoi sceneggiatori) riuscirà a sfondare grazie alle sue vere doti di recitazione.
Attorno al trio di protagoniste aleggia il consueto nugolo di "mosconi", tra cui spicca uno spigliato (e doppiato in maniera indecorosa) Marcello Mastroianni, un giovane operatore di macchina che come i suoi mediocri colleghi aspiranti registi, condivide con le ragazze i problemi economici.
Gli unici a spassarsela sono insomma i tronfi e tirannici produttori coi loro figliocci, che tra parties in ville mastodontiche e giri in automobile, non hanno altra occupazioni che provarci con le sprovvedute attrici.
Una sorta di Dolce Vita ante-litteram, che però tutto sommato non ha nulla del profondo pessimismo che permeerà l'opera felliniana, propendendo invece per un accomodante moralismo generalizzato.
Su un tema pressochè identico, più felice sarà senz'altro (non a caso nello stesso anno) la riuscita di La signora senza camelie di Antonioni. Qui invece, Risi non sembra particolarmente a suo agio nelle situazioni più drammatiche, ma già emergono, a tratti, le prime note che caratterizzeranno la sua futura carriera nella commedia. Particolarmente spassosa in questo senso la scena della "accademia" d'arte drammatica all'interno della palestra di boxe, dove un povero attore ormai decaduto fa lezione di smorfie a dei malcapitati ragazzi in cerca di gloria.
Menzione speciale per la fotografia contrastata di Mario Bava, che conferisce a tutto il film spiccate atmosfere da noir americano alla Siodmak, anche se alla fine sembra una ricercatezza fine a se stessa.

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