martedì 12 novembre 2013

La rosa purpurea del Cairo (Woody Allen, 1985)

Stamane levataccia antelucana per oneri di lavoro, quindi ieri sera permanenza in casa. Decido quindi di rivedere dopo tempo il film alleniano. Uno degli studi più interessanti e profondi sulla cinefilia e l'attività dello spettatore. D'altronde, chi meglio del cinema stesso può parlare del cinema. Come nell'arte, al cinema la teoria si fa vedere, più che lasciarsi formulare.
Cecilia (Mia Farrow) è una sventurata cameriera in un caffé, con a casa un marito beone e violento, che per evadere dalla sua realtà da incubo trova rifugio tra i sogni del cinematografo.
Un brutto giorno Cecilia perde il lavoro e trova il marito a letto con un'altra, quindi non le resta altro da fare che chiudersi nel suo cinema di fiducia a sciropparsi cinque visioni de "La rosa purpurea del Cairo".
All'ultima proiezione della giornata, Tom Baxter l'archeologo rimane sconvolto dalla bellezza di Cecilia e zompa fuori dallo schermo coinvolgendola nella sua fuga nel mondo reale. Sarà l'attore Gill Shepherd, che interpreta Tom sullo schermo, è quindi incaricato di rintracciare il fuggitivo e convivincerlo a ritornare nel film...
Woody Allen, con una storia del tutto semplice, illustra il motivo del cinema come cornice: lo schermo è un limes, una frontiera che è pericoloso superare. Chi si azzarda a farlo compie un sovvertimento dell'ordine ontologico: nel film di Baxter, la sua fuga scatena il panico. Ma altrettanto pericoloso, anche se è una dolce perdizione, è abbandonarsi alle finzioni del cinema: il rischio dell'illusione c'è e se ne pagano le conseguenze.
Nel finale del film, Cecilia deve scegliere tra Tom e Gill e predilige l'attore al personaggio, che però si rivelerà un vile fedifrago abbandonandola al suo destino dopo aver ottenuto il suo scopo. Sta tutta qui la considerazione finale di questo film: di fronte alla ingordigia degli uomini veri, meglio la vacuità degli uomini dello schermo. Una professione di amore incondizionato e disperato al mondo delle luci e ombre in movimento.
Una considerazione: credo che la partecipazione a "Scemo & Più Scemo" sia stato l'errore più grande della vita di Jeff Daniels, che da quel momento in poi ha assunto l'etichetta di "Quellodiscemoepiùscemo" e non gli si stacca di dosso. A Jim Carrey è andata decisamente meglio.
Sì, la locandina è tremenda.


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