giovedì 21 novembre 2013

Two Mothers (Anne Fontaine, 2013)

Mi capita, a scadenze regolari, di rimproverarmi quello che potre definire "passatismo cinematografico".
Insomma, di dedicarmi esclusivamente alla visione di pellicole del passato, a volte anche molto remoto, nell'illusione che siano le sole degne di attenzione.Allora mi sforzo di frequentare con maggior frequenza le sale, perchè "è importante tenersi aggiornati, capire a che punto siamo".
Poi capita che vada a vedere Two Mothers. Mi dico che c'è Naomi Watts, che non può essere una vaccata, "è la tipa di Mulholland Drive!", operando nessi consequenziali privi di senso.
Per farla breve (non dovrei dirlo, ma lo dico) Two Mothers è una vaccata, o come ha detto il diplomatico sconosciuto seduto al mio fianco "è una fregatura". Anche i 3 euro che la regione Veneto ci elargisce per la proiezione del martedì non equivalgono il valore effettivo dell'opera.
La PSICHE femminile?!?!
Detto questo...La vicenda narra di due madri ormai alla soglia dei 50 che vivono in un paesino da sogno su una scogliera australiana. I due figli hanno 20 anni e passano la vita a surfare e a bere birrette con le madri. Loro, le madri, lavorano in uno di quegli uffici pieni di Mac enormi, ma che non si capisce che combinino.Una è vedova, l'altra è sposata con un professore universitario di teatro che più che altro ha l'aria di Nico di MaiDireGol. Insomma, per farla breve, a una certa i figli circuiscono le rispettive madri, e inizia un rapporto chiastico tutto molto libero e limpido, della serie diciamoci tutto. Poi buco nero di cui non ricordo nulla (sarà che per mez'ora non succede nulla). Poi improvvisamente i due ragazzi, 22enni, sono affermati nella vita che neanche Briatore (per dire...): uno contratta per delocalizzare una fabbrica di non si capisce cosa (paccottiglia da hipster senza dubbio) in Cina (quanto sei stronzo), l'altro minus habens mette in scena trionfantemente operette di Gershwin di cui si vede solo una specia di triglia mora che canta canzoni melense. Mi fermo qui.
Ammetto che può essere interessante l'idea di sceneggiatura di mettere in scena una vicenda complessa di sesso al limite dell'incestuoso, qualcosa che potrebbe ricordare un certo cinema nordeuropeo. E va bene.
Ma il primo dei problemi di questo film è la "confezione": l'impressione che rimane durante tutta la visione è quella di assistere ad un lunghissimo miscuglio tra una pubblicità di Hugo Boss, di cui i due ritardati figli sarebbero gli attori, e una di una crema antirughe, di cui le due tardone piallate sarebbero le protagoniste.
Le spiagge da sogno e le case di design sono la cornice perfetta per la rappresentazione di queste vite impeccabili e di sicuro successo, in cui le frammistioni sessuali sono solo un hobby come un altro, immune dai dubbi e dai disagi della vita dei comuni mortali. Quello che manca è proprio la problematizzazione della vicenda, l'approfondimento delle dinamiche psicologiche dei personaggi, che in una vicenda come questa avrebbe trovato terreno prolifico. Il tutto si risolve in una accozzaglia di cartoline di saluti dalle scogliere australiane popolate di aitanti surfisti e arrembanti donne in carriera.
Quello che manca è la vita, quella vera. Non che questo debba essere per forza un problema, ma allora perchè si va al cinema?



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