martedì 11 febbraio 2014

Niagara (Henry Hathaway, 1953)

Continua alla Cinématheque di Bercy la infinita retrospettiva su Hathaway, regista poliedrico e di conseuenza piuttosto prolifico. Numerosi i film del regista passati tra la sala Langlois e la Franju, incredibilmente oscillanti tra il capolavoroso (Peter Ibbetson e Raw Hide la stessa sera, entusiasmanti) e il patetico, nel senso di inguardabile (The last safari, indegno, gran dormita).
Ieri sera, anche se il lunedì solitamente non offre grandi cose, passano Niagara e io pacco una cena per vederlo per la seconda volta, ma su grande schermo.
I coniugi Cutler (due pupazzi di gomma) giungono in un villaggio vacanze nei pressi delle cascate del Niagara per passarvi alcuni giorni di noia mortale. Ma il bungalow loro riservato è occupato da un'altra coppia, i coniugi Loomis, un Joseph Cotten pallido e smunto e una Marylin Monroe la cui bocca, grazie al Technicolor piuttosto saturo, sembra uscire dallo schermo, per la gioia degli astanti. Ebbene, le due coppie in questione sono ai poli opposti: se la prima è "Mulino Bianco", la seconda è più normale: lei ha un amante, lui sta malissimo e passa e sue giornate sulle rocce delle cascate interrogandosi sulla potenza della natura e sull'impotenza dell'uomo al suo cospetto.
Mentre i coniugi Cutler fanno di tutto per farsi derubare dal florido settore turistico locale, i Loomis si dedicano a attività più parsimoniose, come copulare, litigare, ferirsi, progettare le rispettive morti.
Sarà proprio la signora Loomis a dare il via al suo piano di assassinio del marito, che farà mettere i pratica dal suo sprovveduto amante.
Il tema del rapporto uomo-natura è al centro di tutta l'opera di Hathaway: boschi, laghi, mare, montagne, praticamente ha ambientato i suoi film in ogni tipo di paesaggio, e sono pochi i suoi film di ambientazione prettamente urbana.
In questo caso direi che raggiungiamo il limite. Le cascate sono praticamente le protagoniste del racconto e si cerca in tutti i modi di far passare la visione metaforica secondo la quale la loro potenza inarrestabile sarebbe il corrispettivo delle trascinanti passioni che travolgono i personaggi.
In tutta franchezza questo obiettivo sembra raggiunto a metà, nel senso che la vera passione tra i personaggi non arriva mai a livelli stratosferici, e le cascate diventano il più delle volte una suggestiva scenografia.
Il cast poi non aiuta: il solo Cotten spicca grazie ad una vera interpretazione del personaggio travagliato dalla coscienza della infedeltà della moglie. In seconda posizione, da salvare è Jean Peters, mentre la Monroe è evidentemente in difficoltà in un ruolo da dark lady che infatti non ricoprirà mai più. A dir poco macchiettistico il personaggio di Cutler, un tonto dallo sguardo inebetito alla Formigoni.
Genericamente mal reputato dalla critica, il film non è però tutto da buttare. Su tutte, bellissima la scena dell'assassino di....(niente spoiler, qui), in cui la scenografia da cinema espressionista tedesco esalta estremizzandole tutte le migliori caratteristiche visive del noir classico anni '50.
Pubblico in visibilio, applausi al cinema, che fa tanto cinéphile.

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