venerdì 24 gennaio 2014

"Cyclone" e "Il triàngulo diabòlico de Las Bermudas" (René Cardona jr, 1978)

Esiste un solo modo per essere più snob degli intellettuali snob: eccedere nella direzione opposta e sprofondare nel pop più imbarazzante e pecoreccio. E' esattamente quello che si ha la possibilità di fare ogni venerdì sera alla Cinémathèque di Bercy. Il venerdì sera è infatti da anni dedicato alla rassegna Cinéma-bis, nella cui occasione intere frotte di parigini si avventano sul meglio dei peggiori film della storia del cinema.
Bisogna ammettere che le scelte sono sempre apprezzabili e i film davvero divertenti, tanto che sono gli unici a cui ti può capitare di trovare il direttore della sudetta cineteca. In pratica, visto che Pasolini doppiato in cambogiano l'han già visto tutto e si son rotti i maroni, vanno a vedersi Gloria Guida in costume, che rispetto a Franco Citti, permetterai...
L'accoppiata di film di stasera è da antologia: trattasi di due film del 1978 del regista messicano René Cardona jr, figlio di René Cardona -importantissimo regista mesicano, mi dicono- e padre di (vedi la fantasia) René Cardona III, cineasta contemporaneo.
Nella sua pur breve carriera, il nostro ha dato alla luce una buona dozzina di pellicole, pressochè tutte orientate a scopi alimentar-goderecci. In altri termini, metteva insieme una storia che funziona, il materiale necessario, un buon cast, e confezionava lì per lì un film di dubbio valore estetico, ma di alto valore spettacolare.Ed effettivamente sapeva il fatto suo, perchè i due film in questione - va detto - funzionano.
Il primo racconta la storia di un naufragio: in seguito a una furiosa tempesta caraibica, un aereo, una piccola imbarcazione da turismo e un peschereccio vanno a finire piuttosto male, e i rispettivi equipaggi si trovano tutti assieme appassionatamente alla deriva su un piccolo natante. L'occasione è di quelle perfette per mettere in scena le dinamiche umane che si innescano in una situazione di isolamento disperato sull'orlo della morte.Sulla scia di Stagecoach, lo schema è di quelli usurati, ma funziona sempre: 1-perché è facile per lo spettatore seguire l'evolvere della storia; ci si affeziona ai personaggi e si segue le loro trasformazioni, 2-perché è una facile metafora della vita sociale: il microcosmo di una nave isolata in mare aperto come il macrocosmo del nostro sventurato pianeta in cui, bene o male, ci troviamo a convivere con pezzi di merda di varia natura. In questo caso il tentativo di tratteggiare psicologicamente i personaggi esiste, e in certi casi va a buon fine, anche se alla fin fine si punta più sulla spettacolarità ironica di certe scene piuttosto macabre (ben riuscita quella dello squartamento del cane). D'altra parte di tratta di film exploitation e la gente (me compreso) se ne fotte della psicologia dei personaggi, vuole vedere il cane squartato e rosolato sulla prua della nave, per farsi una sonora risata alla faccia della padrona snob che voleva salvargli la vita. Oltrettutto (così si accontentano anche gli intellettuali in sala) rimane anche spazio per inserire l'immancabile sermone del prete sulla opportunità della pratica del cannibalismo. Ad ogni modo niente paura: il prelato verrà zittito bruscamente per lasciar spazio a grigliate di chiappe di tal Manolo.
Per quanto riguarda il secondo film. Dirò che la più importante considerazione la merita il cast: un rimbambito John Huston nella parte di un capofamiglia che non si capisce come ha una figlia di 8 anni, visto che lui ne avrà 80, mah, Marina Vlady, attrice sfuggente ma molto attiva tra Italia e Francia in quegli anni, e, come detto sopra, una statuaria Gloria Guida, che da sè vale tutto il film. Perché per il resto la pellicola non è all'altezza della prima, oltre a essere una sorta di ripetizione. La storia prende spunto, avvalorandola, dalla fesseria del cosiddetto Triangolo delle Bermude. Una nave di proprietà del riccastro patriarca interpretato da Huston piomba in pieno Triangolo, dove gliene capiteranno di tutti i colori.
Merito del film, rispetto al primo, è se non altro la varietà delle sfumature che il regista riesce a conferirgli: ad un impianto di sceneggiatura da puro film d'avventura, si innestano registri da vero e proprio film horror, con tanto di uso banalotto del teremin, che nemmeno con Bela Lugosi lo usavano più.
Per quanto riguarda entrambi i film, c'è da dire che il buon Cardona ha visto e rivisto Lo Squalo 3 anni prima, e lo cita e ricita complusivamente qualche migliaio di volte, con tanto di colonna sonora scandalosamente simile.

Sempre a proposito di colonna sonora, Cyclone è musicato da Riz Ortolani, morto ieri a 87 anni. Al comparire del suo nome sui titoli di coda siam partiti a applaudire in tre in tutta la sala. Vabbè.

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