giovedì 30 gennaio 2014

4:44 Last Day on Earth (Abel Ferrara, 2012)

L'ultima opera di Abel Ferrara questa sera al cinéblub di Jean Douchet, il quale dopo il film ha commentato lungamente dandomi modo di pavoneggiarmi ora sul blog mutuandone più o meno tutte le idee.
Sull'onda della baggianata del 21 dicembre 2012 diversi sono stati i film che hanno parlato del frivolo argomento della Apocalisse. In primo luogo il leggerissimo Melancholia del sempre sereno Lars Von Trier.
Questo di Ferrara è il secondo degno di interesse e come risultato surclassa di gran lunga, nella metà del tempo, il mattone del cineasta danese.
New York, un Willem Dafoe sempre all'altezza incarna Cisco, artistoide semi-tossico-fricchettone che divide la vita e un attico con Skye, una pittrice molto più giovane di lui.
I due passano alcune ore in casa, fanno l'amore, comunicano con parenti vari su Skype, mangiano cinese, litigano, si separano,ma poi le cose si sistemano... tutto ciò fino alle 4:44.
Che cosa fa di una storia così banale un film che ti tiene incollato alla poltrona? Il semplice fatto che alle 4:44 è programmata la Fine di Mondo, come direbbe il Dottor Strangelove, e insomma due cosette da regolare con se stesso e tutto il resto uno si sente di averle.
La situazione estrema offre l'occasione al cineasta italo-americano per condurre una riflessione su ciò che ci resta, nel mondo attuale, dei rapporti tra noi umani ma soprattutto del rapporto che ci lega alla realtà circostante. La maggior parte dei rapporti del protagonista col mondo circostante infatti, si giocano attraverso immagini bidimensionali: da un lato il televisore perennemente acceso al centro della stanza non smette di mandare i "Ve l'avevamo detto" dei vari Dalai Lama, Mandela, Al Gore, dall'altro Skype diventa l'interfaccia asettica attraverso la quale dire addio per sempre alla sua ex.moglie, alla figlia, agli amici più cari. Di conseguenza l'impressione che se ne trae è quella di una Fine del mondo come conseguenza inevitabile dello sfilacciarsi e dell'allentarsi dei rapporti umani.
Tutto è ridotto a immagine, persino le persone più care; come le immagini essi sono transitorie, vacue, destinate a morte certa.
Contraltare e figurazione a tale perdita dell'immagine sono le grandi opere astratte che Skye compone sul pavimento della casa; stesi nel mezzo di una di queste opere i due aspetteranno l'ora cruciale.
Insomma via, tutta allegria. Film complessissimo.
Non credo in Italia sia circolato, se non a qualche Festival tipo Torino.




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